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venerdì 26 febbraio 2010

mercoledì 24 febbraio 2010

Recensione In Anteprima: Senza apparente motivo

Incredibile ma vero: aspettavo questo film sugli schermi italiani due anni fa, ma ci arriva solo ora, tra l'altro in una stagione piena di uscite.
Esce infatti venerdì anche in Italia Incendiary, a due anni dalla sua freddissima accoglienza in USA e in Regno Unito. Di sicuro passerà in sordina anche qui, visto che dovà vedersela con Invictus e Genitori e figli, senza parlare poi della settimana prossima quando usciranno i nuovi di Burton e Scorsese. E' un vero peccato, siccome si tratta di un film interessante, doloroso, serio, coinvolgente e se in qualche sala lo trasmettono, consiglio di vederlo. Il titolo italiano è Senza apparente motivo.


Storia di una giovane casalinga annoiata che mentre commette adulterio assiste in diretta alla morte del figlio e del marito. I due infatti sono ad una partita di calcio, trasmessa in Tv, durante la quale un attentato terroristico mette fine alle loro vite. La protagonista dovrà fare così i conti con questa tragica perdita, avvicinandosi al figlio dell’attentatore suicida. I colpi di scena non mancano, anche se il ritmo è lento, quasi sognante, con l’immagine e la voce del figlio defunto che torna ossessivamente nel corso del film. Ed è un’ossessione, snervante ed invadente, che il film vuole descrivere: la disperazione di una donna che ha perso il figlio e che arriva alle soglie della pazzia.
Ed è questa la parte descritta meglio.
Si perdonino dunque i tempi morti, buchi nella sceneggiatura e passaggi improbabili: quando la razionalità esce dalla vita del personaggio, esce un po’ anche dal film, che non ha la verosimiglianza come obiettivo principale.

Guardandolo, non ho potuto fare a meno di chiedermi perché un filmetto come An education sia candidato all’Oscar, mentre questo è stato completamente ignorato, nonostante sia migliore in tutto: sceneggiatura, musica, fotografia e attori. Non che sia un capolavoro, anzi. Ma è comunque meglio.
La straziante e poetica immagine del cielo di Londra pieno di palloni aerostatici raffiguranti le immagini delle vittime dell’attentato rimane impressa.
I temi affrontati sono tanti: il senso di colpa, l’amore, il tradimento, ovviamente il terrorismo ed il perdono. Ma anche un interessante tributo alla città di Londra.
Michelle Williams, finalmente in un ruolo da protagonista, è perfetta nell’interpretare la ragazza sexy ed annoiata nella prima parte e poi la madre disperata e trasandata nella seconda parte.
Quando lo girò, Michelle era ancora la compagna di Heather Ledger, tanto per capire quanto tempo sia passato. Negli USA uscì esattamente due anni fa, proiettato al Sundance Festival il 20 gennaio 2008, In UK uscì in autunno e passò inosservato, nonostante la regia di Sharon Maguire che ha diretto il film britannico di maggior successo del nuovo millennio, ovvero Bridget Jones.
In un primo momento, l’uscita italiana fu fissata per marzo 2009, per essere poi posticipata a maggio. In seguito si parlò di giugno, poi nulla. Non mi sarei mai aspettato che si tornasse a parlare di una sua distribuzione. A sorpresa è stato ripescato per questa ricchissima stagione.
Rispetto a Bridget Jones qui la regista ha a che fare con toni decisamente diversi e non sa sempre come gestirli.
Rimane il discorso che molti fecero già per quel film: è un film d’attori. Anzi d’attrice, visto che il film ruota tutto intorno alla Williams. Al suo fianco c'è Ewan McGregor, che però non ha la possibilità di far emergere le sue doti. Tra l’altro nello stesso anno i due recitarono anche in un altro film, Deception, distribuito tardi e male in Italia con l’improbabile titolo Sex list.

La scena chiave di Senza apparente motivo, è come dire, alquanto realistica..

Del resto McGregor non è stato mai molto timido davanti alla telecamera, ma la parte del suo corpo che più ha attirato la mia attenzione è ....
...il braccio. E anche la spalla. Ma cos'è quella cosa che ha sulla pelle???!!!!

Oltre ad osservare le strane macchie della spalla di Ewan, il film è un'occasione per vedere questi due bravissimi attori assai bistrattati qui da noi. Non dimentichiamo infatti l'altro film di McGregor in attesa da un paio d'anni, ovvero I love you Philip Morris con Jim Carrey, mentre la povera ex Jen Lindley di Dawson's Creek è sempre troppo off Hollywood per essere distribuita al di fuori degli USA.
Ma entrambi hanno un asso nella manica: l'eterno ragazzino Ewan è il protagonista del nuovo di Polanski, mentre la sempre più bella Michelle è nell'imminente Scorsese.
Infatti, dopo averla vista nei panni della madre disperata che ha perso il figlio e sfiora la follia, la settimana prossima sarà di nuovo nei cinema nella parte della madre impazzita che ha ucciso i propri figli, nell'ultimo, attesissimo e già acclamato film di Scorsese.

lunedì 22 febbraio 2010

L’ effimero stupore di uno spettacolo senza precedenti

AVATAR,
diretto e scritto da James Cameron, con Sam Worthington e Sigourney Weaver.


Sono stato tra le ultime persone sulla Terra a compiere questo viaggio su Pandora, ma alla fine ho visto pure io il film di cui tutti parlano. Dopo aver posticipato l’evento così tante volte, ho avuto la brillante idea di andarci un sabato pomeriggio, in modo che io e il mio paziente accompagnatore fossimo gli unici maggiorenni, oltre ai pochi genitori che avevano accompagnato quel centinaio di bambini presenti in sala. Per fortuna il sorprendente show li ha quasi lasciati a bocca aperta, anzi chiusa.

TRAMA
Jake Sully è un marine che viene mandato in una spedizione su Pandora. È il meno indicato, perché tra tutti i suoi compagni d’avventura, l’unico a non essere uno scienziato. Eppure sarà lui il predestinato che cambierà per sempre le cose.
Su Pandora trova un’indigena scontrosa che lo salva da un attacco di bestie feroci. Saranno costretti a lavorare insieme, finché l’antipatia iniziale non si trasformerà in amore, con ovvio disappunto di colui che già la voleva in moglie. Insomma, la più banale e prevedibile delle love story.
CHE CACCHIO NE PENSO IO
Anche dal punto di vista fantapolitico non è molto più originale: la trama è la stessa di District 9. Anche qui c’è un umano accettato dagli alieni di cui ha le sembianze e rigettato dagli umani che vogliono solo distruzione (del diverso). Lo scontro finale tra l’eroe e l’irriducibile cattivo avviene in modalità praticamente identiche (pure il robot dentro al quale combatte il nemico è quasi uguale a District 9, già visto comunque anche in altri film da Mars Attacks! a Transformers).
Come film d’azione è invece assai efficiente, riuscendo a mantenere alta l’attenzione dello spettatore per la maggior parte della durata del film. Le tematiche trite e ritrite risultano purtroppo sempre attuali. Il tema centrale è la guerra, vista come scontro culturale prima che bellico. L’uomo è sempre descritto come quell’essere crudele che per soldi non esita a distruggere ambiente ed altre vite. Il minerale che gli umani cercano è una poco velata metafora del petrolio. Il “terrore combattuto col terrore” è un’esplicita citazione di Bush.
C’è insomma tanta attualità, tanta storia americana e umana in questo film, che riprende molti archetipi classici (la storia d’amore ricalca anche gli schemi della fiaba) e li usa come solido pretesto per raccontare un universo cinematografico nuovo. Dopo Titanic Cameron supera nuovamente se stesso, con effetti speciali ancora più strabilianti. Ma Titanic aveva emozionato anche per i volti di Di Caprio e Winslet, qui sostituiti da due esseri blu dall’aspetto poco gradevole.
Il meraviglioso mondo di Pandora e i suoi abitanti sono stati creati con tecniche avanzatissime che, secondo molti, cambieranno la storia del cinema. Ed è questo il problema: il regista può fare tutto in studio: modificare inquadrature e perfino mimica e labiale degli attori, grazie alla tecnica del performance replacement. Come dice la parola stessa, si sostituisce la performance degli attori con la tecnologia. Che sia arrivato il momento di sopprimere anche il vecchio mestiere dell’attore? Sinceramente spero di no.
L’umanità è stata sostituita dalla tecnologia, l’emozione dallo stupore. E per quanto il tema bellico, antropologico, ed ambientale possano toccarci nel profondo, a colpire più d’ogni altra cosa è l’effetto visivo, l’illusione. Stupore è il termine giusto. Ma lo stupore è una sensazione (neppure un sentimento) effimero per definizione. Terminata la visione, sparisce lo stupore e così si esaurisce l’effetto di questo spettacolo stupefacente da 240 milioni di dollari, che molti tornano a vedere per poterne ripetere l’effimera meraviglia.
I film che emozionano davvero non hanno necessariamente il bisogno di essere rivisti subito, perché lasciano un bel ricordo che può essere assaporato nel tempo.
VOTO: 7,5

venerdì 19 febbraio 2010

L'amara spensieratezza dell’impegno americano



TRA LE NUVOLE (Up in the air) diretto da Jason Reitman, scritto da Jason Reitman e Sheldon Turner, con George Clooney, Anna Kendrick, Vera Farmiga.

Un cacciatore di teste (George Clooney) trascorre in volo 325 giorni all’anno, passando da uno Stato all’altro degli USA per licenziare personale. L’obiettivo della sua vita è totalizzare 10 milioni di miglia in areo. Una giovanissima collega (Anna Kendrick, intravista in New Moon e nominata all’Oscar) gli farà capire che nella vita c’è anche altro. Una donna che fa il suo stesso mestiere (Vera Farmiga, anche lei nominata all’Oscar e protagonista del prossimo film di Madonna) gli insegnerà qualcosa sull’amore.


Jason Reitman, giovanissimo enfant prodige figlio del regista slovacco Ivan (Ghostbusters), qui produttore, è al suo terzo film e come accade ogni volta che un regista ha un colpo di genio/di fortuna, è impossibile non confrontare il resto della sua filmografia con quel lavoro. Dal paragone, Tra le nuvole esce sconfitto: Juno possedeva infatti una freschezza, un anticonformismo e quel pizzico di eccentricità che lo rendeva un gioiellino delizioso. Non che il suo successore sia un brutto film: tutt’altro, ma non ha quella disinvoltura, quella libertà, quel tocco magico. Non ha quelle musiche speciali, o quei volti sconosciuti ma perfetti e quelle battute che lasciavano il segno. Del resto quella sceneggiatura vinse l’Oscar. Troppo poco però. Juno si meritava molto di più, quelli dell’Accademia lo sanno e per espiare il proprio senso di colpa hanno subissato di candidature Tra le nuvole: 8, di cui l’unica davvero meritata è per la performance di George Clooney. Grande divo, ma anche grande attore, condizione così rara in quest’industria in cui glamour e impegno raramente vanno d’accordo.
Clooney da parecchi anni a questa parte non ha mai sbagliato un film e l’Oscar se lo merita già da un pezzo. Ma quasi sempre l’attore è superiore ai film che interpreta, sempre troppo hollywoodiani, troppo glam per essere sinceramente impegnati. Per questo forse i suoi film migliori sono quelli che ha anche diretto.
Così anche Tra le nuvole, a differenza dell’indipendente Juno, è un prodotto fortemente hollywoodiano: strizza l’occhio a decine di film americani, è sempre in bilico tra risata e malinconia, senza mai decidere quale strada prendere per accontentare un po’ tutti. Perfino l’amaro finale si chiude con un sorriso. Tutta questa nonchalance l’ho trovata un po’ seccante.
A parte questo rimane un film gradevole e attualissimo sulla crisi mondiale e una riflessione sulle nostre vite: quanto peso diamo alla carriera, quanto ai sentimenti?
VOTO: 7




giovedì 18 febbraio 2010

Quel che resta amabile di Jackson


AMABILI RESTI
La quattordicenne Susy (Saoirse Ronan, già nominata all’Oscar per Espiazione) ci racconta sprazzi delle sua vita prima e dopo la sua uccisione, annunciata quasi subito. Intrappolata in un limbo a metà tra mondo dei vivi e dei morti, cercherà di entrare in contatto con le persone a cui ha voluto bene (gli amabili resti), ma ci riuscirà solo col padre (Mark Walhberg) che non si dà pace, mentre la madre (Rachel Weisz) non riesce a confrontarsi con la terribile scomparsa.
L’adattamento del bestseller di Anne Sebold è una sfida troppo grande perfino per Peter Jackson: i mezzi economici e tecnologici non gli sono mancati e l’impianto visivo fa la sua grande figura, ma quello narrativo lascia alquanto perplessi.
Il film parte con passo incerto, si risolleva nella parte centrale e sprofonda poi in una serie di scene tutte da dimenticare. E’ grandioso nei momenti di alta tensione (quando Susy va incontro al suo omicida, la magnifica visione del carnefice che si fa il bagno, l’intrusione della sorella minore nella casa del maniaco) , mentre nell’ultima parte unisce una micidiale successione di scene: la sorella che scappa dal maniaco, la stucchevole riunione familiare, il ragazzo che bacia la morta (?), l’entrata in Paradiso, la morte del cattivo, fino alle ultime parole di Susy, che hanno fatto ridere tutta la sala. Giustamente.
Il mondo di mezzo, ricreato con surreali paesaggi e profusione di effetti speciali, è affascinante ma Kitsch. I siparietti adolescenziali sono un tantino leziosi. Il film cammina sulla non tanto sottile linea che separa il tono ridicolo da quello serio, risultando a volte involontariamente comico o patetico. E poi mi sono stancato di sentire nuovamente Shakespeare (dopo New Moon) in goffi dialoghi da college americano di serie Tv a basso profilo.
Perfino la colonna sonora risulta incredibilmente insignificante, nonostante la firma del grande Brian Eno.
A salvare il film dal disastro accorrono agli effetti speciali, una bellissima fotografia ed una formidabile squadra di attori: oltre ai tre già citati, un perfetto Stanley Tucci, una grande Susan Sarandon e la sorprendente Rose McIver, nei panni della sorella minore (anche se ha quasi dieci anni in più della protagonista).
In ogni caso una delusione.
VOTO: 6,5

mercoledì 17 febbraio 2010

The importance of being educated



L’importanza di ricevere un’istruzione è il tema centrale del film e non molti film ne parlano così esplicitamente. Eppure il tema è di grande interesse, pure oggi che l’università sembra qualcosa di banale.
Non era così però per una ragazzina degli anni ’60 che poteva avere solo due prospettive: andare all’università o sposarsi. Jenny e i suoi genitori hanno credono nella prima ipotesi, anche perché la ragazza è sempre stata una studentessa modello.
Poco prima di compiere diciassette anni però, la ragazza conosce un uomo che ha il doppio della sua età e se ne innamora tanto da arrivare a dire davanti all’antipatica preside Emma Thompson che nella vita non conta avere una laurea se non si è avuto il tempo e la possibilità di vivere.
Per vivere Jenny intende divertirsi, andare a concerti, mostre, ristoranti. La giusta verità sta nel mezzo, ma la ragazza lo scoprirà a sue spese.
In sostanza il messaggio del film è che l’istruzione deve essere accompagnata da esperienze. E sul valore di questo connubio forse ancora oggi non si è riflettuto abbastanza.

Il film, diretto dalla larsvontrieriana Lone Scherfig, inizia in modo promettente e si risolleva nella parte finale. In mezzo ci sono pagine decorative superflue che ne fanno un film british indipendente gradevole e fresco, ma nulla che possa giustificare la nomination all’Oscar come migliore film dell’anno. Ancora di più considerando quanto sia raro che un film straniero riesca ad ottenere questa candidatura. Pure gli elogi che si è guadagnata la protagonista mi sembrano francamente esagerati. È vero che la sconosciuta Carey Mulligan, della quale in realtà ho già visto tutta la filmografia senza conoscerla (Orgoglio e pregiudizio, Nemico Pubblico e Brothers) regge degnamente sulle spalle tutto il peso del film, ma mancano scene madri che possano giustificare una statuetta.
I grandi professionisti (Molina e la Thompson) sono rilegati in parti antipatiche, mentre viene concesso largo spazio ai giovani inglesi (il Domenic Cooper di Mamma Mia! e La Duchessa e la Rosamunde Pike del bellissimo Orgoglio e pregiudizio e del terribile the Libertine) e a Peter Sarsgaard (quello che faceva sesso con Liam Neeson in Kinsey). In ogni caso nessuno dei personaggi secondari a mio avviso è molto verosimile.
Un autentico e davvero incredibile successo per un film indipendente britannico che si è visto aprire le porte dorate di Hollywood.

VOTO: 6,5

martedì 16 febbraio 2010

Un concerto emozionante

IL CONCERTO di Radu Mihaileanu

Andrei è un addetto alle pulizie nel teatro Bolshoj di Mosca dove prima era direttore d’orchestra. Leggendo per caso un fax in cui l’orchestra attuale viene invitata a Parigi, decide di rimettere insieme la sua vecchia orchestra per esibirsi a Parigi nel concerto che ha sempre aspettato. Ma non è solo una questione professionale: ogni personaggio ha anche altri motivi per recarsi a Parigi.
Se si accetta la completa inverosimiglianza che governa ogni azione (l’imbroglio che rende possibile il concerto ed il fatto che i musicisti riescano a suonare dopo trent’anni di inattività) il film può risultare gradevole, nonostante sia penalizzato da un doppiaggio davvero idiota.
Radu Mihaileanu, regista rumeno trapiantato in Francia, offre un ritratto davvero poco lusinghiero del popolo russo, per lui ancora uguale a trenta anni fa e ancora guidato da due uniche e grandi passioni: il comunismo e la vodka. Del resto, il politicamente scorretto e il paradosso non sono una novità per il regista che firmò Train de vie. Alla commedia della prima parte, girata in Russia, si contrappone un secondo tempo prima irriverente poi drammatico, perfino commovente. L’emozione però non viene da parole o azioni, bensì dalla musica. E non sono molti i film che riescono a coinvolgere con il semplice connubio immagini-musica. Il concerto finale, grazie anche ad un efficace montaggio, risolleva straordinariamente il film, facendogli toccare corde altissime che valgono da sole il prezzo del biglietto. Ad impreziosire la performance la deliziosa Mélanie Laurent, già protagonista delle scene più memorabili di Bastardi senza gloria. Dopo quest’altra notevole interpretazione, si può definitivamente affermare che è nata una stella.
VOTO: 7,5

lunedì 15 febbraio 2010

La prima cosa bella di questa stagione italiana.

LA PRIMA COSA BELLA 
di Paolo Virzì, 
con Micaela Ramazzotti, Valerio Mastandrea, Stefania Sandrelli, Claudia Pandolfi.

In bilico tra anni ’70 e oggi, con una breve parentesi negli anni ’80, il film traccia la storia di una famiglia livornese dominata dalla figura di Anna, madre bella, impulsiva, disordinata e sempre ottimista alle prese con una vita difficile.
Un film solare, triste e vero, con personaggi realistici e memorabili interpretazioni.
La figura di Anna, amata e odiata dal padre e dal figlio, è l’eroina del film: forte, vitale, sempre pronta a dire sì alla vita, anche di fronte alla morte. Al contrario del figlio, che cerca di evadere sempre dalla vita (anche attraverso stupefacenti), sottraendosi ai rapporti (sentimentali, familiari). Il loro rapporto è descritto meravigliosamente, come del resto ogni personaggio di questo film. È proprio nei personaggi, così veri, e nel modo in cui li interpretano gli attori, che sta la forza di quest’opera.
Qualche difetto e lungaggine è perdonabile (come forse la superflua parte degli anni '80) visto che è da tempo che in Italia non si vedeva una commedia popolar- familiare così ben costruita. L’anno scorso Questione di cuore, tra l’altro sempre con Micaela Ramazzotti, era un altro bell’esempio di questo genere. Ma La prima cosa bella ha una portata ancora più vasta. È un film personale che allo stesso tempo parla a tutti con grande forza.
Questo nuovo film di Virzì è davvero la prima cosa bella di questo nuovo anno, anche se L’uomo che verrà, uscito dopo una settimana, l’ha superato.
Un 2010 iniziato decisamente alla grande per il cinema italiano, con due bei film e uno di grande successo commerciale (Io, loro e Lara).
VOTO: 8

giovedì 4 febbraio 2010

L’UOMO CHE VERRA’ di Giorgio Diritti



1944, colline bolognesi. Una bambina non parla, ma vede e ascolta tutto quello che le accade intorno: le confidenze delle parenti, gli accordi dei partigiani, i soprusi e le gentilezze dei nazisti, le esecuzioni dei partigiani. Assisterà anche allo sterminio della propria famiglia per mano dei tedeschi. Si salverà solo il fratellino appena nato. Così lei, rimasta muta dopo che un fratellino è morto fra le sue braccia, tornerà a cantare per il fratellino che ha salvato.
Una storia di umana disumanità o disumana umanità, se preferite.
Quello di Diritti è un viaggio storico, antropologico, filologico ed emotivo di cui il cinema italiano deve andare fiero.
Un viaggio nella memoria per ricostruire attraverso una famiglia del luogo, le “tappe” di quel massacro passato alla storia come strage di Marzabotto. Senza schematizzazioni, faziosità politiche e compiaciute esaltazione dell’orrore e del dolore.
Con uno stile asciutto che non disdegna però punte di lirismo, il coinvolgimento emotivo è assicurato senza cadere in sentimentalismi inutili.
Gli aggettivi antropologico e filologico non sono sprecati: il film descrive non solo gli atti della Storia, ma anche quelli della vita quotidiana, familiare, rurale di mezzo secolo fa e la scelta di utilizzare il dialetto della zona risponde a questo fine. Anche i luoghi e i volti sono estremamente reali ed adatti a tal scopo. Bella fotografia che spesso coincide con le soggettive della bambina. Pregevole pure la musica.

VOTO: 8

mercoledì 3 febbraio 2010

A SINGLE MAN di Tom Ford, con Colin Firth



Una giornata nella vita di un docente universitario (Colin Firth) che ha recentemente perso il compagno (Matthew Goode) con cui viveva da sedici anni. I suoi gesti quotidiani (si alza, fa colazione, si veste, va in bagno, al college,ecc.) sono inframmezzati dai flashback con il suo compagno, dai più recenti fino al loro primo incontro, che per coincidenza avviene nello stesso luogo in cui fa la sua comparsa uno studente ambiguo (Nicholas Hoult), che forse porterà novità nella sua vita. Il tutto nei favolosi anni ’60, in cui la paura atomica (comunista) era palpabile. Non mancano strizzatine a scene di famiglia perfetta terribilmente 60’s con casalinghe per forza felici nelle loro casette circondate da giardino sempre impeccabile. Appare anche Julianne Moore nella piccola e intensa parte di donna sola, fragile e disperata che vive in un passato che non può ritornare.
I temi centrali dell’elaborazione del lutto e dell’amore omosessuale sono affrontati con dignità e senza cliché. E con uno stile proprio, che ne fa un film d’autore (il regista ha curato anche la sceneggiatura, adattando in chiave personale il romanzo breve omonimo di Christopher Isherwood, già ispiratore di Cabaret).
Infatti, il film che si apre e chiude con un bacio molto particolare, è perfettamente circolare, simmetrico, armonioso. Ogni inquadratura ha una sua funzione precisa e il regista mostra un’attenzione maniacale al dettaglio. Ma la scelta più bella è quella delle luci, che cambiano a seconda dello stato d’animo del protagonista. Un protagonista notevole le cui gesta sono accompagnate da una musica altrettanto degna di nota. Tecnicamente e stilisticamente perfetto insomma. Più opinabile a livello narrativo, ma questo spesso accade anche ai grandi film. Che sia nata una stella?
VOTO: 7,5

Qui sotto Tom Ford sul set con Colin Firth


martedì 2 febbraio 2010

Io, loro e Lara di e con Carlo Verdone



Carlo (Verdone) è un prete missionario in crisi mistica che decide di prendersi una pausa dall’Africa per schiarirsi le idee. Arrivato nella sua città, Roma, scopre che nessuno dei familiari è disposto ad ascoltarlo: il padre si è risposato con una donna straniera troppo giovane dagli intenti sospetti, il fratello è un drogato, la sorella si lamenta solo del padre senza far troppo caso ai problemi della figlia. E poi arriva Lara.. Verdone si confronta con l’incomunicabilità imperante della nostra società: tutto è fatto per comunicare, ma nessuno è capace di farlo. Sono tutti dialoghi a senso unico, in cui gli interlocutori non si ascoltano. Ognuno espone i propri problemi senza ascoltare quelli degli altri. Lo spunto è molto interessante, ma le riflessioni mischiano arguzia ed ovvietà (-Perché le straniere lasciano, povere ma libere, i loro Paesi per venire in Italia e diventare schiave?- dice il prete alle sue amiche africane diventate prostitute). Il prete impersonato da Carlo Verdone cerca di capire il mondo attuale, occidentale, così distante da quello che ha lasciato in Africa. Ma non ci riesce. Anche il film non è riuscito. Vorrebbe pungere ma fa solo solletico, vorrebbe far ridere ma l’unica scena che risulta divertente è quella del pranzo, dove la comicità è d’azione, non di dialoghi, che sono sempre lunghissimi. E una scena sola in due ore di pellicola è francamente poco. Volentieri ridondante, lento e non divertente, il film arriva al finale dopo due interminabili ore in cui non si capisce bene cosa stiamo guardando. Le commedie, per quanto amare, dovrebbero far ridere o sorridere. Qui si sbadiglia soltanto e Verdone, attore simpatico e ripetitivo nelle sue solite smorfie, è incredibilmente spaesato nel gestire i tempi filmici, eppure non è un regista alle prime armi.

VOTO: 5

lunedì 1 febbraio 2010

Nuovo mese, vecchie abitudini

Nuovo mese, vecchie abitudini.
Tornano infatti domani le mie recensioni ogni giorno alle 8 del mattino, da leggere prima del giornale, possibilmente col caffé ancora in mano.