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mercoledì 22 settembre 2010

Caterina Boratto

Una settimana di addii. La più recente, Sandra Mondaini. La settimana scorsa  Chabrol.  Alla scomparsa di quest'ultimo non è stato dato lo spazio dovuto a mio avviso. Ogni giornale e sito gli ha dedicato un articolo approfondito, certo, ma forse è comunque un po' poco per uno dei fondatori della Nouvelle Vague e uno dei più prolifici autori del cinema francese, nonché tra i pochi ad avere una distribuzione internazionale.
Ma il trattamento che ha ricevuto Caterina Boratto è ancora più riprovevole: solo piccoli trafiletti sui quotidiani hanno ricordato questa attrice che ha presenziato nel cinema italiano per oltre mezzo secolo. La maggior parte degli articoli ANSA la definivano semplicemente diva dei telefoni bianchi, omettendo per esempio il piccolo particolare che recitò in alcuni dei film più importanti del nostro illustro e sempre più lontano passato: e le  le 120 giornate di Salò.
Solo il sito de La Repubblica le ha dedicato un bell'articolo. Addirittura nessun post sui siti di cinema.

Cerco dunque di recuperare.
Caterina Boratto, scomparsa martedì scorso alla veneranda età di 95 anni, non era certo un nome molto noto ai più. Eppure tra gli anni '30 e '40 era tra le dive più celebri. Negli anni '60 e '70 si è poi trasformata in attrice di film d'autore per poi diventare, nei decenni successivi, attrice teatrale e televisiva.
Una carriera importante che vale la pena riguardare.


La sua è una storia di altri tempi, di un'epoca già finita da un pezzo. L'epoca delle due guerre, della Resistenza, degli anni d'oro del cinema italiano.
Nata nel 1915 a Torino, in piena Prima guerra mondiale, dopo aver studiato al liceo musicale interpretò, fra gli altri, un ruolo importante nel film musicale Vivere! che le diede una visibilità internazionale, tanto da ottenere a Hollywood un contratto settenale con la Metro Goldwyn Mayer. Scoppiata le seconda guerra mondiale, fu costretta a rientrare in Italia, senza aver girato nulla, dicendo così per sempre addio al suo sogno americano. Eppure la sua breve toccata e fuga americana bastò per lasciare un ricordo al grande Francis Scott Fitzgerald, che la definì il "battello dei sogni".

Gli anni della guerra furono profondamente drammatici: si innamorò di un eroe di guerra che morì in un incidente aereo e il fratello partigiano venne ucciso nell'eccidio di Cefalonia. Caterina abbandonò quindi le scene per ritirarsi in una clinica di lusso a Torino, dove conobbe Armando Ceratto, direttore della clinica e suo futuro marito. Quest'ultimo aprì la clinica ai partigiani feriti, mandando così al tracollo le finanze familiari.

In più il cinema sembrava essersi dimenticato di lei, finchè non la chiama nientemeno che Federico Fellini per il suo film più apprezzato, 8 ½. L'esperienza è talmente positiva che la richiama anche due anni dopo per Giulietta degli Spiriti. Nello stesso anno recita in Io, io, io... e gli altri di Alessandro Blasetti. Superati i 50, Caterina si trasforma dunque in una signora del cinema d'autore, recitando anche in film stranieri, come Ardenne '44: un inferno di Sydney Pollack.

Infine, nel 1975 è Pasolini a richiamarla sul set per uno dei film più controversi della storia del cinema: Salò o le 120 giornate di Sodoma. Superata la boa dei 70 anni, l'attrice si è dedicata anche all'operetta, al teatro impegnato e alla fiction, che le ha affidato particine fino ai primi anni '90.

Nel 2000 la figlia Marina Ceratto ha un pubblicato il libro Il battello dei sogni : tutto il racconto della vita di Caterina Boratto la grande attrice riscoperta da Federico Fellini.

1 commento:

  1. bel pezzo celebrativo. BRAVO! Per me appassionata di Fellini, e Pasolini non poteva passare inosservato! ;)

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