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venerdì 29 ottobre 2010

Un film da non dimenticare: Desiderio

DESIDERIO
 1946, di Roberto Rossellini e Marcello Pagliero

Diversi sono i motivi per parlare di questo film

1) È ’ uno dei primi film di Girotti in cui il proprio personaggio ricalca in qualche modo quello di Ossessione

2) È un film che oggi diremmo “maledetto” in quanto attraversò incredibile traversie produttive per poi essere maledetto definitivamente dalla Chiesa

3) È un film di cui si sono conservate le richieste censorie che oggi ci appaiono surreali

4) È un film secondo me ingiustamente ignorato e disprezzato dalla critica


TRAMA

Paola si prostituisce a Roma finché non viene sconvolta dalla visione di una ragazza che si è suicidata gettandosi gnel vuoto. È in quella triste circostanza che conosce Giovanni, floricoltore non più giovane, ma simpatico e premuroso. Paola se ne innamora e nasce in lei il desiderio di cambiare vita. Ritorna nel paese natio in occasione del matrimonio della sorella e decide di rimanervi per un po’, dopo anni di assenza.
Giovanni l’avrebbe poi raggiunta per chiedere la sua mano dinnanzi ai suoi genitori.
Il suo ritorno nel piccolo paese di campagna porta però scompiglio: il padre non le vuole rivolgere la parola perché ha scoperto il mestiere della figlia tramite dei pettegolezzi.
Il neo-cognato Nando, che Paola conosce da una vita, non sa nulla di queste voci e pensa che Paola facesse la sarta. Rimasto stupito dall’avvenenza della ragazza Nando cova per lei un desiderio che cerca di nascondere. Ma alla fine sua moglie lo scopre e litigano.
Allo stesso tempo Riccardo, un ex di Paola che conosce il suo recente passato la ricatta: se non va a letto con lui, dirà tutto. A Paola non rimane che cedere al ricatto, ma Nando interviene in tempo.
Paola ora è rovinata: la sorella tanto amata la odia, il cognato la disprezza e Riccardo probabilmente andrà a dire tutto. Non le rimane che buttarsi giù da un ponte, ripetendo così il gesto che aveva aperto il film e che l’aveva turbata tanto da innescare un profondo turbamento.
Giovanni arriva in quel momento da Roma. Domanda che cosa è successo proprio a l’ex di Paola, colui che l’ha spinta a questo gesto estremo. Riccardo gli risponde che una bravissima ragazza si è suicidata. Giovanni non vede il corpo e continua la sua strada verso il paese in cui spera di trovare la sua innamorata.

GENESI DEL FILM


Rossellini aveva amato particolarmente Ossessione e poche settimane dopo l’uscita del film di Visconti si mise a lavorare a questo progetto che ne avrebbe ricreato le atmosfere cupe e pessimistiche, descrivendo uno stato sociale in cui il riscatto è impossibile e l’amore fatale.
Non a caso si servì della presenza di Girotti, già utilizzato da lui in Il pilota ritorna, film di propaganda bellica realizzato nel ’42 sotto l’egida di Vittorio Mussolini che ne firmò il soggetto. Già in quel film s’impose l’empatia rosselliniana con i sofferenti.

Del soggetto originale di Anna Benvenuti il film conserva ben poco. Il titolo che aveva in mente Rossellini era Scalo Merci e si trattava di un film che analizzava la situazione dei ferrovieri e che avrebbe dovuto avere come protagonista Interprete originale doveva essere Oretta Fiume. Nel luglio 1943, in seguito al bombardamento della scalo ferroviario di San Lorenzo a Roma dove Rossellini intendeva girarlo, venne deciso di spostare le riprese in una zona più tranquilla e più meridionale, ovvero l’Abruzzo. Il titolo mutò in Rinuncia, la protagonista sarebbe stata Elli Parvo e la storia sarebbe stata ambientata in un villaggio di boscaioli Alla sceneggiatura lavorarono lo stesso regista e Giuseppe De Santis, allora critico cinematografico, il quale si rifiutò di seguirlo in Abruzzo in quanto impegnato nella Resistenza.
Alla fine Rossellini non girò nulla in Abruzzo e tutto il materiale da lui girato si limitò alle scene iniziali di Anna e l’amica prostituta, il primo dialogo delle due sorelle e poche altre scene secondarie girate in studio. Il resto fu tutto opera di Marcello Pagliero, sceneggiatura esclusa: fu infatti lo stesso Rossellini a scegliere un nuovo, tragico finale.

CENSURA

Le sfortune di questo progetto non si esaurirono dopo le turbolente riprese: nel luglio del 1946 il film venne ritirato subito dalle sale per richiesta del Centro Cattolico Cinematografico che chiese l’eliminazione delle seguenti inaccettabili scene:

Girotti che prende in mano le mutande di Paola
La toeletta di Paola.

Le battute di Riccardo “ Ti ho portato fortuna”

e “anche se sono sposato e ho dei figli troveremo il modo di organizzarci”

La scena delle due donne a letto
                                    
Il suicidio della protagonista in modo “da portare la vicenda a una soluzione serena e cristiana.”
Quest’ultima richiesta però non può essere accontentata perché è l’unico finale girato.
Gli autori spiegano le proprie ragioni al Centro Cattolico che alla fine acconsente al suicidio.

Nel novembre del 1946 il film uscì di nuovo, passando inosservato da critica e pubblico.

CRITICA

Il Morandini lo liquida in questo modo: “ Così com'è, sembra solo una brutta copia di Ossessione di Visconti.”
Sul web non si trovano molte altre recensioni. La maggior parte degli studiosi di Rossellini l’ha trascurato poiché la regia effettiva è di Pagliero.
Eppure se oggi il Dvd c’è è proprio grazie alla parziale regia di Rossellini che campeggiava anche sulla locandina del film.
Corredato di interessanti extra, il dvd presenta una versione restaurata in cui alcune scene sono state reintegrate, come quelle, scandalosissime e fuorvianti, delle mutande e delle due sorelle che parlano sul letto. Molte altre sono andate perdute. In ogni caso, nonostante si avverta un ritmo fin troppo serrato per un film degli anni ’40, indice inequivocabili dei tagli, il film è tutt’altro che monco e non è per nulla una brutta copia di Ossessione. Anzi.

I dialoghi sono ottimi e incredibilmente attuali, il che è un pregio non da poco per un film che ha quasi settant’anni. I protagonisti si esprimono con un linguaggio semplice e attuale, fatto che non sempre accadeva invece in Visconti.
La storia è appassionante e il tragico finale risulta ancora scioccante. Il suicidio della protagonista, ex prostituta redenta, sembrerebbe così evitabile, forzato e melodrammatico. Perché Paola non decide di aspettare il fidanzato, tornarsene con lui a Roma e fregarsene dei familiari maligni?
Perché Paola è figlia di una società patriarcale e maschilista in cui non c’è possibilità di redenzione per la donna caduta, né di emancipazione. A tal proposito è esplicativo il rapporto tra Nando e la moglie (Girotti e Schmidt, a lato), succube e angelica come deve essere. Finchè alla fine non reagisce, e allora il marito perde le staffe.
In questo c’è il legame con Visconti: il personaggio di Elli Parvo sceglie il suicidio come quello di Clara Calamai sceglieva l’omicidio. Gesti estremi resi possibili da situazioni estreme, in cui alle donne, e ai più deboli in generale, veniva privato il diritto di parola.
Negata la parola, non rimane che l’azione: estrema, crudele, insensata ma per loro necessaria.
In fondo è quello che succede ancora oggi.

ATTORI

Elli Parvo è Paola, la protagonista. È il ruolo più controverso della sua carriera: feroce sensualità, prostituzione e suicidio. Un mix che l’avrebbe per sempre rilegata al ruolo di donna caduta. Prima di desiderio apparve in Il feroce Saladino, accanto ad Alida Valli e fu diretta anche da Vittorio de Sica ( La porta del cielo, 1941) e Luigi Zampa. Recitò, in parti sempre più piccole, fino al 1960. Si è spenta lo scorso 19 febbraio all’età di 96 anni. 

Massimo Girotti è Nando, cognato concupiscente di Paola. È un ingenuo che lentamente scopre la propria passione per la sorella della moglie. Importante, nell'economia del film, il suo rapporto con la moglie.
Carlo Ninchi interpreta Giovanni, un personaggio che esprime fiducia in ogni gesto e che fa innamorare Paola.

 Roswita Schimdt è la sorella di Paola. Ritornerà a lavorare per Rossellini in L'amore. pochissime altre esperienze come attrice.
                                         

mercoledì 27 ottobre 2010

La corona di ferro: il fantasy ai tempi del fascismo

LA CORONA DI FERRO, 1941, di ALESSANDRO BLASETTI

                                                     
TRAMA
Sedemondo (Gino Cervi) regna nel regno di Kindaor dopo aver ucciso il fratello Licinio (Massimo Girotti). Nella foresta incontra una donna che lavorando al fuso gli parla della leggenda della corona di ferro e della sorte che lo attende.

Il sovrano fa di tutto per prendersi gioco della sorte, ma alla fine la giustizia trionferà e al trono tornerà il figlio (Massimo Girotti) del re ucciso.

Un colossal premiato col Premio “Mussolini” al Festival di Venezia del ’41 rivelatosi  un enorme successo nonostante la guerra. Lanciò come sex symbol un 23enne Massimo Girotti in un doppio ruolo, definito dal Morandini "bello come un Tarzan". E in effetti nella prima parte ricorda molto Tarzan...


Un budget altissimo e una parata di stelle: la mitica coppia Ferida- Valenti, la coppia di teatranti Morelli-Stoppa, la diva Elisa Cegani, il popolarissimo Gino Cervi, il pugile Primo Carnera e quel giovane, sconosciuto e svestitissimo Girotti. Tra le comparse non accreditate figura un giovanissimo Marcello Mastroianni.


È la classica fiaba fantasy con guerrieri, principesse rinchiuse, fatine e animali magici che miscela paesaggi occidentali forestali a città arabeggianti di credo cattolico. La corona di ferro è infatti un dono di Bizantino all’imperatore di Roma. Visto oggi, risulta molto Kitsch, finto e ingenuo, ma come fiaba per i più piccini regge ancora nonostante i 70 anni.

 ATTORI
 

Osvaldo Valenti e Luisa Ferida facevano coppia sullo schermo e nella vita, diventando la prima coppia di divi. Recitarono in tanti film di successo e creò non poco clamore la loro fucilazione da parte dei partigiani. La loro drammatica vicenda è diventata un film diretto da Marco Tullio Giordano, Sanguepazzo. Nella lunga pellicola del 2008 i due divi sono interpretati da Luca Zingaretti e Monica Bellucci.

 Anche Rina Morelli e Paolo Stoppa formavano una coppia nella vita e recitavano sempre insieme. Paolo Stoppa ha un ruolo minore, mentre Rina ricopre un ruolo particolarmente importante. E' lei la vecchina con il fuso ( il perchè venga chiamata così non lo so, visto che l'attrice aveva una trentina d'anni e si vede) che predice tutto e sa tutto. Una sorta di fatina, insomma. Come abbiamo già visto, Rina Morelli sarà particolarmente apprezzata da Visconti, sia a teatro che al cinema

Infine il protagonista, Gino Cervi, che tutti ricordano nel Don Camillo, ma pochi sanno che già negli anni del fascismo era una stella del cinema

martedì 26 ottobre 2010

MASSIMO GIROTTI

MASSIMO GIROTTI

Il più grande attore italiano dopo Marcello Mastroianni, ingiustamente dimenticato.  Non è certo noto come Gassman, Tognazzi o Sordi che però si sono fatti amare dal pubblico grazie soprattutto a scelte commerciali. Girotti, dopo avver raggiunto grande popolarità come  re dei peplum, avviò una carriera di film d’autore che vanta tre capolavori come Ossessione, Cronaca di un amore e Teorema.
Poi ci fu una fugace apparizione in un altro classico del cinema come Ultimo tango a Parigi. In 60 anni di carriera Massimo Girotti ha lavorato con Antonioni, Blasetti, Comencini, De Sica, De Santis, Germi, Lattuada, Pietrangeli, Rossellini e Scola. Ovvero tutti registi che hanno fatto la storia del cinema italiano e di cui parlerò su questo blog.
Perdutosi poi in piccole parti nel cinema di genere degli anni '70 e '80, Massimo è risorto nei decenni successivi grazie a piccole partecipazioni in film d'autore come Interno berlinese di Liliana Cavani e Il mostro di Benigni. Ma è stato Ozpetek a dargli un ruolo finalmente importante ne La finestra di fronte. Purtroppo Massimo muore in seguito a un arresto cardiaco prima che si possa godere il successo di critica e di pubblico del film.
Ecco di seguito una carrellata dei suoi titoli più importanti.

1941 La corona di ferro – Blasetti
1942 Un pilota ritorna - Rossellini
1943 Ossessione- Visconti
1946 In nome della legge - Germi
1946 Desiderio – Rossellini e Pagliero
1950 Cronaca di un amore - Antonioni
1954 Senso - Visconti
1968 Teorema – Pasolini
1994  Il Mostro - Benigni
2003 La finestra di fronte – Ozpetek

BIO/FILMOGRAFIA
Nato a Mogliano, provincia di Macerata, il 18 maggio 1918, Massimo Girotti è stato studente della facoltà di giurisprudenza e pallanuotista che sfiorò la Serie A nel '35 giocando come portiere.
Arrivò al cinema dopo molto teatro in compagnie minori: fu Mario Soldati, il primo ad offrirgli un piccolo ruolo in Dora Nelson, film del 1939.
Il successo arrivò, clamoroso, nel '41 grazie al film “di regime” La corona di ferro di Blasetti che ne fece in un lampo il maggior sex symbol italiano. Rossellini un anno più tardi lo trasformò in un valoroso eroe di guerra in Un pilota ritorna, altro film che esprimeva ideali fascisti.















Poi venne Visconti e Girotti entrò definitivamente nel mito grazie a due capolavori: fu infatti protagonista di Ossessione e personaggio secondario in Senso. Continuò a recitare in peplum che ne esaltavano la prestanza fisica (Spartacus, 1953) e film di grande successo popolare (come Fabiola, maggior incasso della stagione 1948/49), ma alternò queste scelte commerciali a ruoli sempre più impegnativi. Fra questi In nome della legge, grazie al quale vince il Nastro D’Argento del 1949 come migliore attore protagonista.
Segue poi Cronaca di un amore, debutto di Antonioni, nonché altra pietra miliare della storia del cinema. Nel film interpreta un personaggio molto simile a quello di Ossessione, come del resto era già accaduto per Desiderio (1946).
 

Diventa poi l’attore feticcio di De Santis: Caccia tragica, Roma ore 11, Un marito per Anna Zaccheo.
In teatro fu diretto da grandi registi del calibro di Zeffirelli e Blasetti, mentre in tv recitò in sceneggiati di enorme successo come nel, in Cime tempestose (1956) e I promessi sposi, del 1967, dove fu Fra' Cristoforo. Poi venne l’incontro con un altro regista scomodo e geniale del nostro cinema: Pasolini, che lo volle come co-protagonista di Teorema. A parte Pasolini (con Medea) e Visconti (che con L’innocente terminava la sua carriera iniziata proprio da Ossessione), gli anni ’70 non gli presentarono molte soddisfazioni.
Un’ottima occasione fu quella di Passione d’amore di Ettore Scola, grazie al quale vinse il Nastro d'Argento nel 1981.
Poi il vuoto, salvo piccole partecipazioni a film d’autore come Interno berlinese di Liliana Cavani (1985) e Il mostro di Benigni (1994).


Una decina d’anni più tardi Ozpetek si ricorda di lui e ne fa il personaggio chiave del suo film di maggior successo, La finestra di fronte (sotto il regista insieme a Massimo e Giovanna Mezzogiorno). Nei panni di un anziano pasticcere omosessuale che ricorda con amarezza il suo comportamento durante la guerra Girotti vince un David di Donatello postumo. Infatti un infarto lo stronca il 5 gennaio 2003, due mesi prima dell'uscita del film. Nemmeno questa vicenda servì molto a riportare in auge la sua figura, apprezzata dagli appassionati di cinema ma sconosciuta ai più.


La vita privata

Schivo e riservato, rifiutò qualsiasi mondanità, vivendo sempre lontano dai riflettori. Si sposò negli anni ’40 e rimase vedovo ancora giovane, con due figli: Alessio e Arabella.

L’impegno politico

All'indomani della liberazione di Roma, fece parte di un gruppo di intellettuali, tra cui Giuseppe De Santis e lo sceneggiatore Gianni Puccini, che si occupò del futuro e della riorganizzazione del cinema italiano. In seguito non mancò mai di firmare gli appelli al voto a favore del P.C.I. in ogni consultazione, esprimendo spesso  anche  opinioni ciritiche e personali.

mercoledì 13 ottobre 2010

Visconti, ultima parte: L'innocente, 1976

L'INNOCENTE
di Luchino Visconti
Italia, 1976

Era inevitabile che il più decadente dei registi italiani prima o poi si confrontasse con il più decadente degli scrittori nazionali. Peccato che questo incontro sia avvenuto troppo tardi.


Visconti morì infatti durante il montaggio della pellicola, e quella che noi vediamo tutt’ora non è dunque che una versione provvisoria, montata con l’aiuto di Suso Cecchi d’Amico seguendo le indicazioni scritte del regista, che aveva girato il film in carrozzella e morì dopo una prima visione della quale non era soddisfatto. Morì subito dopo, colpito da trombosi. La versione definitiva del film non è molto diversa da quella che lo stesso regista definì insoddisfacente, ma questo fu rivelato da Suso Cecchi d’Amico solo nel 1996.

La critica  liquidò quindi L'innocente come opera non finita. E il passaggio da non finito a non riuscito fu breve. Tuttavia non è un film da dimenticare.

Al centro la storia di una ricca famiglia in crisi della Roma umbertina. L’arrivo di un erede riempe di gioia l’anziana madre, ma non sa che l’erede è un figlio illegittimo, frutto dell’unica scappatella della moglie tradita ripetutamente dal marito.

Infatti, Tullio (Giancarlo Giannini) che tradisce pubblicamente la sottomessa e rassegnata Giuliana (Laura Antonelli), per quale prova solo rispetto, compie un viaggio di piacere con la sua amante. Al suo ritorno scopre che la moglie ha avuto una relazione e si rende conto di essere terribilmente geloso e di esserne ancora innamorato. Lui, uomo che si dice libero, ateo, razionale (notevole il discorso sulla libertà di coscienza e sul suo ateismo) scopre però anche di essere abbastanza tradizionalista da non poter mai accettare un simile affronto. Quindi prima tenta di convincere la moglie che l’aborto non è affatto un crimine, ma al contrario,l’unica soluzione possibile. Di fronte al rifiuto della donna, Tullio uccide il bambino esponendo al freddo della nevosa notte di Natale, mentre tutti sono a Messa.
Ma l’animo di Tullio non è in pace come avrebbe voluto e aveva dichiarato e di fronte al disgusto e all’indifferenza della Contessa di Raffo,(Jennifer O’Neill) sua ex amante, decide di togliersi la vita.
La Contessa, sconvolta più per il fatto di ritrovarsi nel bel mezzo di un fatto di sangue che per la perdita dell’ex amante, raccoglie i propri accessori e scappa in una nebbiosa mattina invernale, per una volta senza carrozza. Probabilmente l’immagine dei suoi passi senza grazia che si allontanano e disperdono nella nebbia mattutina è quella che riassume tutto il film.
La crisi della classe sociale corrisponde o è frutto di una crisi di valori. Il personaggio enigmatico di questa nobildonna bella, ricca, sessualmente disinibita ed egoista racchiude un mondo incapace di guardare al di là dei propri futili problemi. Tullio è l’uomo che vorrebbe essere libero da restrizioni morali, ma alla fine non ci riesce. Non prova minima vergogna per aver tradito la moglie, ma è terribilmente offeso dal tradimento di lei. La moglie, che rappresenta l’ingenuità, la bontà e la religiosità di gente d’altri tempo è l’unica a uscirne viva. Distrutta dal dolore (oltre al figlio perde sia il marito che l’amante) è però l’unica che rimane, anche se il regista evita di farci vedere cosa ne sarà di lei.

FILM E ROMANZO


I personaggi femminili nel film acquisiscono un ruolo centrale: l’Antonelli è la co-protagonista del film e la O’Neill è una figura emblematica che nel romanzo di D'Annunzio aveva molto meno incidenza. In Visconti sono proprio queste due donne a spingere il protagonista verso i gesti più estremi, l’omicidio e il suicidio (quest’ultimo assente nel libro). Nel romanzo dannunziano, inoltre, la coppia ha due figli e non desidera affatto il terzo.

Visconti cambia le carte in tavola: lanciando un’accesa discussione sull’aborto, caldeggiato da Tullio e respinto da Giuliana, che qui assume un ruolo nettamente più positivo.

ATTORI


Visconti desiderava Delon e la Schneider. Si dovette accontentare di Giannini e dell’Antonelli, che tuttavia, reduce dai successi sexy di Malizia e Il Merlo Maschio, portò in sala un pubblico al quale Visconti non era più abituato. Infatti il film si classificò all’8^ posto dei maggiori incassi della stagione, rivelandosi uno dei maggiori successi commerciali del regista, che purtroppo non poté godersi questo momento.

MASSIMO GIROTTI

Visconti richiama Massimo Girotti per quella che si può definire un’amichevole partecipazione: un picolo ruolo in cui il protagonista di Ossessione interpreta uno sfrontato e anziano Conte che vuole sedurre la Contessa di Raffo, interpreta da Jennifer O’Neill.




RINA MORELLI

Un’altra presenza costante nei film di Visconti (da Senso in poi il regista le affidò quasi sempre piccoli ruoli), qui l’attrice ha un ruolo importante: è la solitaria madre di Tullio.

La grande attrice, compagna di Paolo Stoppa, morì poco dopo l’uscita del film.




GIANCARLO GIANNINI
Giannini interpreta piuttosto bene lo sgradevole personaggio di Tullio Hermil, pur senza raggiungere l’epica drammaticità di altri attori-personaggi viscontiani.


LAURA ANTONELLI

Adeguata in questo ruolo drammatico che rimarrà una delle prove più alte della sua carriera, l'attrice resta comunque vittima del personaggio che ha creato: ovvero riesce a recitare nuda anche per Visconti, regista che raramente ha spogliato donne nei suoi film.

lunedì 11 ottobre 2010

Morte a Venezia

MORTE A VENZIA, 1972 

Un lussuosissimo regalo che Visconti pare concedersi dopo una lunga carriera di successi, ma anche uno scherzo e una provocazione nei confronti del suo pubblico. Se c’è qualcosa che a Visconti non è mai mancato è il gusto della provocazione, unito a grande coraggio. Ossessione, La terra trema, La caduta degli dei, Ludwig, sono indubbiamente opere coraggiose e provocatorie per stili e contenuti.
Morte a Venezia è l’ultima provocazione di un regista che ormai ha detto tutto eppure avrebbe avuto ancora tanto da aggiungere.

Trasformando lo scrittore dell'omonimo romanzo di Thomas Mann in un musicista che ricorda Mahler, Visconti si appropria di quest’opera sul mito della bellezza e sull’incombere della morte. Per la prima volta senza Suso Cecchi d'Amico, Visconti si avvalse della collaborazione di Enrico Medioli.

Il personaggio del musicista interpretato da Dirk Bogarde non può che ricordare lo stesso regista, uomo anziano attratto da giovanissimi ragazzi, sorpreso dalla morte quando aveva ancora da creare e da vivere.

L’omosessualità, qui anche simbolica, è l’elemento chiave del film e del romanzo di Thomas Mann dal quale il film è tratto: ma ai tempi (di Visconti e ancor più quelli di Mann) tutti si guardarono bene dal notarlo. L’opera del credente e sposato Mann fu infatti interpretata come un inno alla bellezza, senza alcunché di torbido. L’attrazione del protagonista dunque è sublimata e asessuata secondo i critici del tempo. In realtà lo stesso Mann, in una lettera, ne parla come un racconto sulla pederastia e la moglie conferma l’ossessione morbosa del marito per un giovane, che in realtà non era un ragazzino come nel film, ma addirittura un bambino di undici anni.
Oggi, paradossalmente, questo film creerebbe molto più rumore.

TRAMA
In oltre due ore di pellicola ci viene mostrato un maturo gentiluomo che si limita a seguire un adolescente polacco ancora imberbe per le anguste vie e piazze di Venezia, spesso a bordo di una gondola oppure si aggira per l’albergo in tutti i luoghi in cui potrebbe incrociare il giovanissimo efebo (hall, ristorante, giardini). La sua impotenza e inettitudine è tale che non riesce a rivolgergli mai la parola e nei suoi pensieri il dolore viene accostato a quello della perdita della figlia. Strano accostamento. Quest’ossessione continua, così come procede la malattia che lo sta divorando. Per nasconderne i segni si trucca vistosamente, finchè un bel giorno, al Lido, vede il suo adorato ragazzino rotolarsi per terra con un altro ragazzo. La gelosia o l’eccitazione è talmente forte da essergli fatale: l’uomo infatti muore in spiaggia, sotto gli occhi degli altri villeggianti, colpito da un infarto.

Film praticamente muto ( 15 minuti di dialoghi in tutto ), in cui a dominare è la musica e le pastose, idilliache immagini di una Venezia da cartolina.
Protagonista è Dirk Bogarde, già inteprete del precedente film di Visconti, La Caduta degli dei (1969).

Il giovane Tadzio invece è interpretato dal quindicenne Björn Andresen, scelto dopo che Visconti fece un lungo tour in Norvegia e Svezia nelle scuole e nelle palestre al fine di trovare la persona giusta. Scelse questo ragazzino per la sua "bellezza mortuaria". L’attore in un’intervista parlò del disagio provato quando Visconti lo portò con sé in un locale gay di Cannes, dove il film fu presentato.

Silvana Mangano, nei panni della madre polacca del giovane Tadzio, agisce sempre sullo sfondo e a fatica la si percepisce parlare in russo. Questo peculiare ruolo, con nessun primo piano a lei dedicato e nessun dialogo da lei pronunciato, le procurò addirittura un Nastro d’argento. E pensare che all’inizio, nonostante il volere del regista, la scelta della Mangano fu scartata perché troppo esosa. In seguito al rifiuto di un'altra attrice imposta dalla produzione, la Mangano offrì di recitare gratuitamente.