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mercoledì 31 dicembre 2014

ATTORI DEL 2014, N.9

ATTORI DEL 2014
N. 9
ANTOINE OLIVIER PILON



Anno di nascita: 1997
Provenienza: Canada
Ruolo dell'anno: Mommy
è in classifica perché: è l'outsider dell'anno
Posizione 2013: non presente

La rivelazione di Mommy che i conoscitori di Xavier Dolan hanno già apprezzato in alcuni suoi film precedenti. Per tutti gli altri è con questo ruolo complesso che il giovane ha conquistato il pubblico internazionale. Il suo Steve è un ragazzo affetto da disurbi comportamentali che dopo essere stato espulso da un istituto torna a vivere con la madre. 

ATTRICI DEL 2014, N.9

 ATTRICI DEL 2014
N. 10
CHARLOTTE GAINSBOURGH


Anno di nascita: 1971
Provenienza: Francia
Ruolo dell'anno: Nymphomaniac
è in classifica perché: ha coraggio
Posizione 2013: non presente

Sempre brava e sempre coraggiosa quando si tratta di lavorare con Lars von Trier. Peccato che non riesca a trovare ruoli adeguati al di fuori di quelli del regista danese (vedi Tre cuori, uscito in sordina qualche mese fa).


martedì 30 dicembre 2014

ATTORI DEL 2014. N.10

ATTORI DEL 2014.
N.10
OSCAR ISAAC


Anno di nascita: 1980
Provenienza: Guatemala
Ruolo dell'anno: A proposito di Davis
è in classifica perché: farà strada
Posizione 2013: non presente


L’ho scoperto in Agora di Alejandro Amenabar, l’ho rivisto in Nessuna verità di Ridley Scott, in Drive di Nicolas Winding Refn e in W.E. -Edward e Wallis di Madonna, ma sono stati i fratelli Coen ad affidargli il primo ruolo da protagonista in A proposito di Davis, nei panni del solitario musicista in cerca di successo. E per questo ruolo lo scopriamo anche bravo musicista e cantante. Quest'anno si è visto anche a fianco di Kirsten Dunst in I due volti di gennaio. Ne risentiremo parlare anche l’anno prossimo grazie a A most violent Year.

ATTRICI DEL 2014. POSIZIONE N.10

ATTRICI DEL 2014
N. 10
JENNIFER LAWRENCE


Anno di nascita: 1990
Provenienza: USA
Ruolo dell'anno: American Hustle
è in classifica perché: ha qualcosa di speciale
Posizione 2013: 1.


Letteralmente crollata dalla primo posto dell’anno scorso, Jennifer quest’anno ne ha combinate di cotte e di crude: lo scandalo delle foto finite in internet, il capitolo di Hunger Games meno entusiasmante di sempre e un film disastroso per accoglienza della critica e del pubblico: quel Folle Passione che è si è trasformato in una folle decisione lavorativa. Se è in questa top 10 è grazie alla sua strepitosa performance in American Hustle che l’è valsa l’ennesima nomination all’Oscar a soli 24 anni.


lunedì 29 dicembre 2014

2014: i nomi che hanno segnato un anno di cinema

Il 2014 è stato un anno di buon cinema, in linea col 2013: oltre una dozzina i titoli che si possono definire buoni, col cinema indipendente statunitense a farla da padrone, grazie soprattutto a titoli come Lei e Boyhood. I film “da Oscar” sono stati dimenticati in fretta (12 anni schiavo, I segreti di Osage County, American Hustle) e i grandi registi si sono confermati tali: Christopher Nolan, Wes Anderson, David Fincher, Martin Scorsese e i fratelli Coen. Lars Von Trier si conferma autore controverso, capace di attirare molta attenzione con i suoi due capitoli di Nymphomaniac e la futura versione non censurata. Unica eccezione l’ottuagenario Clint Eastwood, col deludente Jersey Boys, ma ne ha già un altro in cantiere. Fallita invece la consacrazione di Darren Aronofsky, che con il colossal biblico new age Noah non ha saputo eguagliare i fasti de Il cigno nero.

Il 2014 è stato l’anno dell’inesauribile proliferazione di saghe distopiche per teenager: Maze Runner, Divergent, Il mondo di Jonas e l’ultimo capitolo di Hunger Games: tutti godibili, nessuno indimenticabile.
Da segnalare anche l’improvvisa sparizione del cinema francese: dopo anni di fenomenali successi commerciali (Quasi amici) e di critica (The Artist, La vie d’Adèle) il cinema d’oltralpe si è decisamente fatto da parte. Tuttavia le lingue francofone non hanno abbandonato le sale: con Due giorni, una notte i fratelli Dardenne, dal Belgio, si confermano grandi maestri anche se il 2014 sarà ricordato come l’anno di grazia di due registi del Quebec: Xavier Dolan con Mommy e Jean Marc Vallé (con un film statunitense però, Dallas Buyers Club). Dal Canada, seppur quello inglese, viene anche David Cronenberg, capace di aggiungere un altro film notevole alla sua filmografia con Maps to the stars.

Britannici sono infine Ken Loach, che dopo quasi cinquant’anni di carriera, si conferma con l’ottimo Jimmy’s Hall e il quasi esordiente Matthew Warchus col sensazionale Pride. Dalla verde Irlanda proviene Jim Carney, che con il suo primo film statunitense, Tutto può cambiare, ha raccolto un buon successo di pubblico.


Arriviamo infine all’Italia, sempre bistrattata e sempre capace di rifarsi nonostante la mancanza di fondi e di promozioni adeguate: dopo l’Oscar a Sorrentino, che ha portato milioni di italiani a confrontarsi con un film tutt’altro che immediato come La grande bellezza, quest’anno gli italiani si sono riversati in massa ad ammirare un film altrettanto complesso come Il giovane favoloso, che consacra Mario Martone come uno dei nuovi grandi registi italiani. Ma il successo internazionale del nostro cinema non è finito: Il capitale umano di Paolo Virzì ha vinto premi a Toronto e Le meraviglie di Alice Rochwacher si è portato a casa un premio a Cannes. 

domenica 28 dicembre 2014

Di mamma ce n'è una sola

MOMMY
di Xavier Dolan,
Canada, 2014
con Anne Dorval, Antoine Olivier Pilon, Susan Clément
Genere: drammatico

Se ti piace guarda anche: Tutto su mia madre, Savage Grace
TRAMA
Una donna va a ritirare il figlio con disturbi comportamentali: l’istituto l’ha espulso a causa di un incendio da lui stesso appiccato. È decisa a occuparsene lei, ma la convivenza non è facile..
COMMENTO
Xavier Dolan, giovane prodigio canadese, giunto a soli 25 anni al quarto lungometraggio da regista, raggiunge finalmente la fama mondiale dopo aver solleticato un pubblico di nicchia per diversi anni. Con questo quarto film Dolan mette in scena un dramma che sviscera il complesso rapporto materno di una donna nei confronti del figlio con problemi comportamentali, senza lesinare pugni allo stomaco. Temi e toni ricordano certi film di Almodovar, ma lo stile è diverso, personale. I tre personaggi, vale a dire il giovane protagonista e le due donne della sua vita, la madre e una salvifica vicina di casa, formano un cast in stato di grazia, perennemente alle prese con scene madri ad alta tensione emotiva. Canzoni pop di ogni tipo occupano e riempiono intere scene: non può mancare Céline Dion (siamo in Quebec), sorprendono i Counting Crows, Dido, e soprattutto gli Eiffel 65 e Andrea Bocelli. Un verò melo, dedicato alle donne, in particolare alle madri,  visto dagli occhi di un ragazzo. Girato in un inedito formato quadrato che si allarga in un momento preciso del film e curato in ogni dettaglio dal suo autore (anche i costumi e i montaggi sono opera di Dolan) Mommy è un film incredibilmente maturo. Premio della giuria a Cannes.

VOTO: 8

venerdì 26 dicembre 2014

Dallas Buyers Club: da recuperare

DALLAS BUYERS CLUB
(USA, 2013)
di Jean-Marc Vallé
con Matthew MacConaughey, Jared Leto, Jennifer Gardner
Genere: dramma sociale
 Se ti piace guarda anche: Erin Brokovich, Effetti collaterali, The Normal Heart

TRAMA
Texas, anni ’80. A un cowboy viene diagnosticata l’Aids: ha solo un mese di vita. Incredulo, poiché etero, si mette a studiare la malattia e cerca possibili cure..
COMMENTO
Il regista quebecchese Jean Marc Vallé si è fatto notare ad alcuni festival internazionali col bel C.R.A.Z.Y. nel 2005, piccolo successo di nicchia. Sbarcato in Gran Bretagna con Young Victoria il regista è riuscito a raggiungere l’attenzione della critica internazionale, e farsi aprire così le porte di Hollywood dove ha trovato un divo come Matthew MacConaughey disposto a perdere una trentina di chilogrammi per interpretare il protagonista. Al suo fianco, una personalità decisamente più indie come l’attore e rockstar Jared Leto, anche lui dimagrito in modo raccapricciante e per di più in travesti. A ringraziarli dello sforzo un Oscar a testa. 
Il film stesso ha ricevuto una nomination come miglior film dell'anno: decisamente esagerato. Dallas Buyers Club tecnicamente parlando non è un film da Oscar, ma merita attenzione per i propri contenuti, temi importanti trattati in modo intelligente, grazie soprattutto alla sceneggiatura di Craig Borten e Melissa Wallack, che ripercorre un fatto vero per denunciare impietosamente l’ente governativo che regola i medicinali in uso negli States.
Ma Dallas Buyers Club è anche un racconto sull’Aids e sui rapporti umani e si rischia la commozione di fronte all’abbraccio tra il macho cowboy omofobico e il travestito. Ma la regia è asciutta e non vuole ricattare lo spettatore: non mira alla commozione ma all’indignazione di fronte al potere delle case farmaceutiche. E così, con estremo rigore, senza eccessi, storie d’amore o scene madri, il film riesce a mettere in scena tematiche delicate e scomode. Manca tuttavia un’empatia di fondo con i personaggi.

VOTO: 7,5

mercoledì 24 dicembre 2014

Pride: una commedia irresistibile

PRIDE
di Matthew Marchus
UK, 2014
con Ben Schnetzer, George MacKey,Imelda Staunton, Bill Nighy, Dominic West, Paddy Considine, Andrew Scott, Jessica Gunning
Genere: commedia
Se ti piace guarda anche: Billy Elliott, Grazie Signora Tatcher!, Trainspotting, Full Monty, 
TRAMA
Inghilterra, 1984. Il giovane Mark ha l’idea di offrire, assieme ad altri amici gay, sostegno economico ai minatori che da mesi scioperano contro il governo guidato da Margaret Tatcher. In fondo, quei minatori si ritrovano nella stessa situazione degli omosessuali fino a qualche anno prima: umiliati e denigrati dall’opinione pubblica soltanto perché vogliono far valere i propri diritti. Ma nessuna associazione di minatori sembra volere alcun sostegno da un gruppo di omosessuali, finché uno sperduto villagio del Galles acetta il loro sostegno..
COMMENTO
Un autentico trionfo di buona scrittura, buone interpretazioni, buoni sentimenti, impegno civile e risate. Pride riesce ad affrontare in sole due ore tantissimi temi mantenendosi sempre in un equilibrio mirabile offrendo allo spettatore l’opportunità di riflettere e divertirsi: un regalo non da poco.
Diretto dal regista teatrale Matthew Warchus e dal drammaturgo Stephen Beresford Pride richiama alcune delle commedie britanniche di maggior successo dell’ultimo ventennio: Full Monty e Billy Elliott, tra l’altro entrambe alle prese con il problema del lavoro o, nel caso di Billy Elliott, addirittura si parla della stessa situazione, ovvero gli scioperi dei minatori contro il governo Tatcher.
Colonna sonora in tema col periodo, da Grace Jones a Jimmy Sommerville, lasciando spazio anche a qualche canto gallese.
“L’unione fa la forza” è l’insegnamento principale del film, assieme anche all’importanza di accettare il prossimo, gesto difficilissimo nel credente Galles rurale degli anni ’80 così come nella apparentemente progressista Londra degli anni ’80 in cui assieme ai Gay Pride si affacciava lo spettro dell’Aids. Pur cavalcando molti cliché narrativi (non ci sono in fondo sorprese o colpi di scena, tutto segue le codificate regole del caso) e tematici (si ride dei gay e con i gay) il film raggiunge il suo obiettivo, coinvolge, diverte, commuove ed è di grandissima attualità. Consigliatissimo, per tutti (non solo gay e minatori).

VOTO: 8,5


lunedì 22 dicembre 2014

L'amore bugiardo: nuova grande prova di David Fincher

L'AMORE BUGIARDO - GONE GIRL
di David Fincher
(USA, 2014) 
con Ben Affleck, Rosamunde Pike, Nei Patrick Harris, Carrie Coon,Tyer Perry.
Genere: Drammatico/Thriller

TRAMA
Una donna scompare nel giorno del suo quinto anniversario di matrimonio. Il marito è il sospettato principale…



COMMENTO
Un thriller? Un dramma matrimoniale? Sì e altro ancora. David Fincher torna ad esplorare il lato cupo dell’essere umano, dopo Seven, Fight Club, Zodiac e Uomini che odiano le donne. E proprio di quest’ultimo ne è il perfetto contraltare: dopo un film sulla misoginia, eccone uno sulla misandria, ma anche una fredda analisi del matrimonio, qui letteralmente massacrato.
Fincher si muove come di consueto con grande abilità nelle due ore e mezzo di durata, non permettendo mai che la noia assalga lo spettatore. Lascia però da parte per una volta dialoghi e battute brillanti e ritmi serrati per costruire un thriller che per stile ricorda Zodiac, se proprio vogliamo trovare un riferimento all’interno di una ormai lunga e notevole filmografia. Per tematiche però la memoria torna a The Game, dove il protagonista era vittima di un gioco crudele, quasi un reality anti-litteram, terribilmente verosimile e crudele. Anchi qui il protagonista si ritrova al centro di un doppio gioco spietato: uno privato e uno pubblico. E con questo entriamo non tanto nei reality ma in quella tv dei talk show che si diverte con le tragedie umane e condanna e assolve vite umane con la velocità di un clic per aumentare il proprio share.
Condanna della Tv spazzatura, del giornalismo all’acqua di rose che ha ormai monopolizzato le tv di tutto il mondo, ma anche un duro attacco all’istituzione matrimoniale.
Non solo un buon thriller dunque, ma anche un saggio sulla società d’oggi. Insomma, dopo The Social network, del quale tuttavia questo Gone Girl è inferiore, David Fincher filma un altro film importantissimo per capire la nostra società. Ma c’è di più: Fincher ha adattato con la stessa autrice Gillian Flynn il romanzo omonimo, che nella traduzione italiana come al solito rovina qualcosa, svelando più di quanto sia lecito. È una vera rarità che uno scrittore adatti il proprio romanzo per il cinema, soprattutto a Hollywood e già per questo motivo L’amore bugiardo - Gone Girl diventerà, con merito, oggetto di studi di critica comparatistica.
Peccato che la regia sia però così fredda, che il montaggio sia così trasparente e che la colonna sonora di Trent Reznor e Attic Ross questa volta non colpisca più di tanto: questi tre motivi, a mio avviso, lo rendono inferiore, stilisticamente parlando, a The Social Network. Rimane tuttavia altissima la capacità del regista di dirigere i propri attori: Ben Affleck perfetto nella parte del marito belloccio all’apparenza apatico e ingenuo e Rosamunde Pike trova nel ruolo della ragazza scomparsa del titolo il ruolo della vita, soffiandolo a a Reese Witherspoon che si è accontentato di averlo prodotto.

VOTO: 8+

lunedì 15 dicembre 2014

Magic in the Moonlight: dov'è la magia?

MAGIC IN THE MOONLIGHT
di Woody Allen,
(USA/FRANCIA, 2014)
con Colin Firth, Emma Stone, Jackie Weaver, Marcia Gay Harden, Eileen Atkins
Genere: commedia
Se ti piace guarda anche: Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, La maledizione dello scorpione di giada, Ombre e nebbia, Scoop, L'importanza di chiamarsi Ernest
TRAMA
Un famoso illusionista è chiamato da un collega a smascherare una veggente. Finirà per rimanerne affascinato.
COMMENTO 
In Ombre e nebbia Woody Allen faceva dire a John Malkovich: "tutti amano le illusioni, anzi: ne hanno bisogno come l'aria da respirare".
Il film era del 1992 ed era il migliore film di Woody Allen sulla magia. Ne sono seguiti tanti altri, uno per ogni decennio: La maledizione dello scorpione di Giada, film deboluccio nonostante una brava Helen Hunt, il delizioso e disimpegnato Scoop con una Scarlett Johansson ancora adorabile e ora questo, in cui la magia invade perfino locandina e titolo. Eppure, paradossalmente, Magic in the Moonlight è un film senza magia, in tutti i sensi: vi è solo una scena di illusionismo, quella iniziale, e una sola seduta spiritica: entrambe poco incisive. Ma il guaio maggiore è che il film è letteralmente privo di momenti magici, cioè riusciti. Non basta un planetario da favola spuntato dal nulla in una notte d'estate, non bastano i giardini incantati del sud della Francia: il film manca di quella magia cinematografica in grado di farlo decollare. Non vi è una sola scena in grado di incantare lo spettatore, al contrario ad esempio di un film molto recente del regista, ovvero quel Midnight in Paris che metteva insieme tante piccole suggestioni ricche di incanto.
Per non parlare del proverbiale umorismo alleniano: non vi è una sola battuta degna di nota nell'intero film, il che in un film di Woody Allen non è un incidente di percorso, ma un crimine e un misfatto!
Insomma, com'era logico aspettarsi, dopo l'osannato Blue Jasmine (che pure non era del tutto riuscito) questo è il turno del film riempitivo, ed è un peccato, perché le location erano davvero magiche (impreziosite dalla fotografia di Darius Khondji), il cast stuzzicante e il tema, seppur inflazionato dallo stesso regista, sempre attuale: quello del contrasto tra evidenza e fede, tra raziocinio e trasporto.
Ma Magic in the Moonlight si rivela un film elegante, verboso e un po' noioso.
Prima di concludere qualche parla sul cast, appunto stuzzicante sulla carta: in realtà deludente per la poca chimica tra i due protagonisti. Convince infatti Colin Firth, grazie a un personaggio molto teatrale e molto British, ma delude purtroppo, e a sorpresa, l'interpretazione di Emma Stone che è stata comunque già ingaggiata da Allen per il suo prossimo film, ovviamente già quasi ultimato e ovviamente, si spera, migliore di questo.
VOTO: 6,5

venerdì 12 dicembre 2014

Grand Budapest Hotel: tutta la magia di Wes Anderson

GRAND BUDAPEST HOTEL
di Wes Anderson
(UK/Germania, 2014)

Genere: commedia surreale
con: Ralph Fiennes, Toni Revolori, Saoirse Ronan, Bill Murray, Jude Law, Edward Norton, Tilda Swinton, F. Murray Abraham, Willem Dafoe, Harvey Keitel, Adrien Brody, Owen Wilson, Jason Schwartzman, Léa Seydoux.
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TRAMA

Siamo nel cuore dell’Europa, in un albergo lussuoso, dove un ragazzino immigrate diventa il protégé del concierge, finito dei guai per l’accusa di furto e omicidio.
COMMENTO
Wes Anderson torna con un film sfavillante che ripropone tutti i cliché del suo cinema, quelli che lo contraddistinguono e l’hanno reso un autore di culto. Questa volta sembra voler proporre un divertissement, ma non si tratta affatto di un esercizio di stile fine a stesso: il film è dedicato allo scrittore austriaco Stephen Zweig, un tempo conosciutissimo, oggi un po’ meno, nonostante nel 2014 sia uscita una trasposizione del suo romanzo La promessa, con Rebecca Hall come protagonista. Ma torniamo a questo film, bellissimo omaggio agli espedienti narrativi che reggono le trame di cui ci nutriamo: Grand Budapest Hotel si apre con una storia-cornice che introduce a un’altra, passando dal giallo alla commedia, dal grottesco al surreale, finendo per accumulare personaggi, situazioni e ambientazioni sempre più strambi, in perfetto stile Anderson, impossibile da non amare, almeno dal punto di vista visivo grazie alla consueta esplosione di colori, alla quale si aggiungono scenografie memorabili ispirate all’art Decò austro-ungarica. Dal punto di vista narrativo, il fim sorprende meno, ma grazie al ritmo frenetico, ai colpi di scena e alle battute, il film diventa un piacere anche per l’intelletto. Un divertissement, come dicevo all’inizio, ma di grandissima classe, con una serie di camei divertentissimi. Imperdibile per coloro che già conoscono il regista mentre per tutti gli altri mi sembra un ottimo punto di partenza per farsi trasportare in un mondo magico, coloratissimo e surreale.


VOTO: 8+

martedì 2 dicembre 2014

Jimmy's Hall: due salti nell'Irlanda bisognosa di libertà

JIMMY'S HALL 
 Una storia di amore e libertà
di Ken Loach,
UK, 2014
con Barry Ward e Simone Kirby

DATA DI USCITA: 18 dicembre 2014
Se ti piace guarda anche: Nel nome del padre, Philomena
TRAMA
Nella fredda, verde, povera, insoddisfatta e bigotta Irlanda degli anni '20 Jimmy ritorna nella casa materna dopo essere fuggito negli Stati Uniti. Il ragazzo ha infatti idee troppo liberali ed è visto come un nemico dalla comunità cittadina, dominata dall'opinione del pastore. Finirà per rimettersi nei guai quando decide di riaprire un centro culturale in cui ballare, leggere, suonare e chiacchierare.

COMMENTO
Ken Loach offre un bel film che parla di libertà e diritti e di quanto sia necessario combattere per ottenerli quando essi sono calpestati. La sala da ballo di Jimmy è un microcosmo, una metafora del diritto alla conoscenza, alla cultura e allo scambio di idee, nonché a un po' di sano e meritato svago. Purtroppo c'è sempre un regime pronto a negare tutto ciò. Con semplicità Loach ci coinvolge nella sua storia fatta di povera ma speranzosa gente, con i verdissimi prati inglesi sempre sullo sfondo: nota di merito alla bellissima fotografia.
VOTO: 7,5